AsiaPenisola Arabica

Shawarma drive, l’Oman invisibile

Non ricordo quando ho sentito parlare la prima volta dell’Oman. Ma già nel 2019 questo paese mi balenava nella testa quando spuntò nel ventaglio di proposte primaverili di Avventure nel Mondo. In quell’occasione scelsi la Cappadocia convinta che avesse molto più da offrire per il patrimonio storico e culturale. Si rivelò una scelta giusta. Ogni paese va visto in un determinato periodo. Quello era il periodo della Turchia con Ayasofya, la basilica-museo ancora per poco visitabile . È infatti diventata moschea il 10 luglio 2020 con un decreto presidenziale e nuovamente aperta al culto islamico.

Qualche mese dopo, una ragazza conosciuta durante uno dei miei viaggi mi parlò di Casa Oman, una guesthouse che si preoccupa di organizzare tour alla scoperta delle mille sfaccettature del sultanato. Una regione ancora poco nota della penisola arabica che da una parte guarda i paesi del Golfo Persico e, dall’altra, l’India e il Pakistan. Anima e cuore di Casa Oman è Iapo, romagnolo che da venticinue anni ha scelto di vivere in Oman dopo una campagna di scavi promossa dalla sua università.

Non ho perso tempo. Ho contattato Iapo per la prima volta per mail poco prima che la pandemia paralizzasse il turismo e stroncasse il desiderio di libertà di migliaia di viaggiatori come me, costretti tra le mura di casa. Furono lunghe le conversazioni con Iapo, sia per mail che a telefono. Rimasi stupita dalla sua capacità di raccontare l’Oman con dettagli che la rendevano una descrizione illustrata. Era come se ogni sua parola disegnasse una figura: una casa omanita, una moschea, una conversazione tra due donne. Era amareggiato Iapo. Perchè in Oman si registrava una percentuale bassissima di casi di Covid 19 eppure il paese rimaneva nella fascia “out”.  

Restammo in contatto per tutti i mesi successivi fino a quando, con un post sulla pagina Facebook, annunciò che Casa Oman stava per ripartire. Con tutta la sua carovana. Uno staff consolidato ma in costante cambiamento pronto ad accogliere e accompagnare i viaggiatori in un percorso a tappe lungo l’affascinante via dell’incenso, la tratta carovaniera che collegava l’estremità della penisola arabica con il Mediterraneo fin dall’epoca dei romani. Iapo parlava e m’immaginavo già i souq con i bazar dai colori vivaci sprigionare un intenso profumo di sandalo, mirra e cannella. Il progetto Casa Oman ripartì alla grande al punto che per due intere stagioni non sono riuscita a incastrare la partenza tra le numerose richieste pervenute.

Muscat, la città diffusa

“Muscat è un porto, come non ce n’è altro al mondo, dove ci sono mercanti e tutte le navi aspirano ad arrivare” (Ahmad Ibn Majid, 1490).

Il primo impatto con l’Oman è con la magnificenza della Grande Moschea del Sultano Qabus che il sultano ha affidato a un architetto iraniano che ha preso in prestito alcuni elementi dell’architettura islamica persiana per creare un effetto stupefacente all’interno della sala riservata agli uomini. L’iwan, con un tripudio di sfumature blu, decora con eleganza l’enorme stanza intarsiata di legni indiani e marmi di Carrara, decorata con lampadari di Swarovski. Ai lati, nicchiette a punta custodiscono tomi del Corano dalla copertina verde Islam. Mi hanno suggerito di infilare qualcosa sotto il vestito perché le trasparenze non sono ammesse e anche se il mio vestito ha una consistenza che non lascia intravedere il profilo delle gambe, a malincuore mi fascio in modo da risultare perfettamente idonea alla moschea.

Le maniche lunghe del vestito non sono sufficientemente lunghe per gli omaniti che mi invitano a coprire col foulard anche la piccola parte lasciata scoperta. Praticamente solo il polso! La scelta del sandalo si rivela giusta. Il marmo della pavimentazione esterna è talmente liscio e pulito che risulta addirittura piacevole camminare a piedi nudi.  

Muscat, la capitale del Sultanato dell’Oman, si compone di vari quartieri intervallati da aspre montagne. Le antiche mura che cingono il sontuoso Palazzo del Sultano (non visitabile, utilizzato solo per ricevere delegazioni ufficiali e per le feste) furono costruite quando i portoghesi (che la conquistarono nel Cinquecento) furono cacciati da Hormuz. Centro dei commerci fra il XIV e il XV secolo, Muscat è la loro principale roccaforte nella zona. Gi omaniti riconquistano la città nel 1650 e dal Seicento vi risiede la dinastia Al-Bisaid che diede nuovo impulso all’impero marittimo omanita.

Un colpo di stato nel 1970 porta al potere il sultano Qaboos Bin Said e inizia il processo di modernizzazione del paese che si apre al futuro pur conservando le sue tradizioni. Dal 1988 inizia il processo di omanizzazione con il quale gli omaniti sostituiscono la forza lavoro degli immigrati provenienti da India, Pakistan e Bangladesh. I taxi possono essere guidati solo da omaniti. Muscat è un piccolo quartiere che si visita in mezza giornata.

Come tutte le città del medioriente dà il meglio di sé al tramonto che in agosto è intorno alle 18.20, quando il calare del sole si riflette sul blu e oro delle cupole delle moschee che dal lungomare regalano uno splendido skyline della città. Arrivo al porto di Mutrah verso le 18.15 giusto in tempo per assistere allo spettacolo del sole che si spegne dietro alla moschea. Il mercato del pesce visitato al mattino ha tutto un altro fascino la sera, visto da fuori con l’imponente struttura moderna a contenerlo. Percorro la corniche, fra le più belle coste dell’Arabia, da dove si dipana un labirinto di strade e vicoli fino al colorato souk di Mutrah.   

Un intenso profumo di incenso e spezie si sprigiona dai negozietti perfettamente impilati lungo la via principale. Niente a che vedere con l’intricato groviglio di viuzze del rumoroso souq di Marrakech. Qui è tutto molto ordinato e ogni negozio ha l’aria condizionata. Si vendono le mascherine usate dalle donne beduine per riparare il volto dalla sabbia portata dal forte vento e diversi modelli di khanjar (il tipico pugnale ricurvo omanita), pashmine e profumi. Colpisce la varietà di essenze che i bazari miscelano per ottenere un gradevole composto. Ma soprattutto colpiscono le boccette in cui vengono venduti, dalle forme più bizzarre. L’oro, l’argento e lo zafferano sono venduti a peso per cui bisogna chiedere il prezzo in grammi. Compro 2 grammi di zafferano iraniano che costa 1 rial omanita al grammo, l’equivalente di 2,50 euro.

Riesco a liberarmi del vestito e del foulard nel tragitto in jeep verso il mercato del pesce. A quest’ora il sole è già diventato insopportabile. Solo gli uomini affollano i banchi ricolmi di tonni giganti, seppie e calamari. Prima di ogni traversata del deserto è d’obbligo lo sgonfiaggio delle ruote: non a caso si incontrano spesso garage che offrono questo servizio ai bordi delle strade polverose, dove non esistono marciapiedi. Il sole inizia a calare quando una tempesta di sabbia ci sorprende nel Wahiba Sands.

Piacevole la traversata sulle dune fino al campo tendato. Le otto tende sono sistemate intorno alla yurta centrale con due container che fungono da bagno. Un çay al cardamomo gustato in una tenda che è anche un bazaar è il nostro benvenuto nel deserto. I beduini ci preparano anche il loro caffè prima di deliziarci con una cena a base di riso e pollo. La notte trascorre tranquilla nonostante il caldo e il pensiero dei topolini che fanno capolino dalla sabbia.

L’Oman scomparso

Il caldo irrompe nella tenda già poco prima dell’alba. Prendo la fotocamera e m’inerpico sulle dune vergini che il vento ha pettinato facendole assomigliare a quelle vaschette di gelato ancora immacolate che fanno venire voglia di tuffarcisi sopra. Per chilometri e chilometri non incrociamo forme di vita umana a parte i dromedari che qui chiamano più genericamente camel. Un allevamento dove ci fanno assaggiare latte di cammella è l’ultima tappa nel deserto. Hamud, uno dei cinque figli di Rashid, indossa il dishdash e le ciabatte del padre. Nonostante siano troppo grandi per il suo piccolo piedino, il bambino si arrampica con disinvoltura tra le rovine del forte di Al Kamil e sembra a suo agio davanti all’obiettivo che lo ritrae parte integrante del paesaggio omanita.

White Sand Beach

La vista del deserto dall’alto dei forti e delle torri di avvistamento è spettacolare. Come quella che si ammira da Jalaan Bani Bu Ali con la vicina moschea di Rashid bin Hamouda. All’ora del tramonto arriviamo a Mmrr, un villaggio completamente insabbiato che agli inizi degli anni Novanta gli abitanti hanno lasciato in fretta e in furia a causa di una tempesta di sabbia.

Ci spiegano che la sabbia è anche il motivo per cui tutte le case hanno un muro di cinta a delimitare il territorio. Un po’ per privacy, un po’ per ripararsi. La popolazione omanita non si mostra, si nasconde. Il sole che cala non rende giustizia al paesaggio che resta un po’ in ombra. Hamud ne approfitta per sfilarsi il dishadash e concedersi un adrenalinico salto nella duna altissima che sovrasta una casa. Mi chiedo cosa ha lasciato lì dentro la famiglia costretta a scappare. Nessuno lo sa. Nessuno vi ha mai fatto ritorno.

Casa Oman e la prima alba

Arriviamo a Ras Al Hadd all’imbrunire con la sensazione di essere tornati a casa dopo un lungo viaggio. Iapo ci accoglie a Casa Oman con una cena in perfetto stile romagnolo coordinata dal maestro dei fornelli Marcello, abile chef di Mercato Saraceno come la maggior parte dell’equipe. Un breve briefing introduce ai successivi tre giorni alla scoperta della regione interna del nord ovest, la Ad-Dakhiliyah, un mix di oasi terrazzate, wadi e piccoli villaggi. Dopo due giorni di vuoti, si affrontano tre giorni di pieni: un miscuglio di persone, dinamiche di vita quotidiana e montagne. Prima di andare a letto portiamo i vestiti sporchi utilizzati nei primi due giorni in una lavanderia di fronte a casa. Li riprenderemo dopo ben quattro giorni, al nostro rientro dalla Dakhliyah.

Il laundry service è la principale attività commerciale in Oman, insieme al Barber Shop. Ras Al Hadd (dove hadd significa “bordo” o “margine”) è il punto più a est della penisola arabica. La spiaggia rosa, che dista una manciata di chilometri dalla casa con le conchiglie depositate sull’arenile e un riparo di paglia e legno, è il luogo ideale per un po’ di relax tra un’escursione e l’altra. Su questo tratto di costa, chiamato Turtle Beach, le tartarughe depongono le uova e ogni notte fino alle prime luci dell’alba danno vita alla suggestiva danza della maternità. Uno spettacolo imperdibile insieme a quello offerto dalla fluorescenza del plancton nelle onde che s’infrangono sulla battigia. Assistere a questo balletto delle tartarughe che scavano le buche per trovare un nido appropriato ai loro piccoli è un privilegio riservato a tutti, gratuito e accessibile a partire dalle 5 del mattino.

L’entroterra dell’Oman: la regione di Ad Dakhiliyah

Partiamo da Casa Oman alle 7 alla volta della regione di Ad Dakhiliyah. Da Ras al Hadd in circa due ore si raggiungono le rovine di Taluf, quel che resta di un tipico villaggio in stile yemenita con le case di argilla, fresche anche quando fuori la temperatura è insopportabile. Il sultano dagli anni Novanta ha iniziato a regalare case anche se molti beduini hanno rifiutato qualsiasi aiuto e sono rimasti a vivere nelle capanne tendate in riva al mare con le montagne dietro. Non c’è al momento in Oman alcun progetto di restauro e recupero delle vecchie case di argilla. Nemmeno il ministro dei beni culturali ha interesse a preservare il patrimonio storico del paese.

Tutte le iniziative di recupero sono di privati che hanno ottenuto permessi e autorizzazioni al recupero come è successo ad Al-Hamra dove una antica casa omanita di argilla è stata riqualificata e aperta alle visite guidate offrendo uno spaccato della vita in questi villaggi. Nonostante il sultano che ha governato il paese per oltre quarant’anni sia stato molto attento ai costumi e alle tradizioni, per il ministero dei beni culturali e il ministero del turismo oggi il modello vincente è quello di Dubai e del Qatar. Paesi che hanno generato un industria del turismo legata ai grandi eventi come l’Expo di Dubai e i Mondiali di calcio.

La casa omanita di Al-Hamra, risalente al Seicento, ha un basamento in pietra e mattoni di argilla. Mostra come gli omaniti tengano agli ospiti dedicandogli una camera in ogni abitazione. La casa si compone di una camera da pranzo con l’immenso tappeto a ricoprire l’intero pavimento, la camera dei vestiti, le camerette dei figli che le occupano anche dopo essersi sposati con le rispettive mogli. Qui si produce il miglior sciroppo di datteri dell’Oman. Ne compro due bottiglie.

Nizwa, l’antica capitale

È l’alba a Nizwa. Sono le 6.30 quando gli allevatori scendono dalle montagne con il bestiame per iniziare la compravendita. Le donne del villaggio oltre al lihaf, indossano una specie di mascherina sul viso. Un uomo posizionato al centro del souq dichiara aperta la trattativa. Da quel momento gli acquirenti seduti sulle gradinate vedono sfilare le caprette accompagnate dai rispettivi proprietari.

Quando l’acquirente sceglie la capretta che porterà a casa lancia un sassolino all’allevatore che si avvicina per fargli sentire la consistenza dell’animale. Una volta conclusa la trattativa, la capretta viene legata a un palo, quindi portata a casa. Alle 7.30 il mercato del bestiame termina con l’aria soddisfatta di chi ha acquistato e di chi quel giorno è riuscito a vendere almeno tre caprette. Sotto il sole del primo mattino che regala al momento una certa sacralità.

Misfah Al Abriyenn, un’oasi tra le rocce

Dopo la salita al Jabel Shams, la più alta cima dell’Oman, arriviamo in serata nel villaggio di Misfah Al Abriyenn, un piccolo villaggio incastonato nella roccia. Le abitazioni abbarbicate sulla montagna hanno un aspetto precario ma sopravvivono da secoli. Con una breve passeggiata negli stretti vicoli del paesino su giunge al falaj, i canali di irrigazione che in Iran si chiamano qanat. Servono a irrigare il palmeto e le piantagioni di mais. Vedo donne scendere con bacinelle portate sulla testa: vanno a lavare panni e stoviglie.  

Un sentiero ben segnalato porta al canyon e alle cascatelle incastonate nella roccia che regalano un senso di fresco anche dopo una pioggia fitta nell’aria umida. Tra le più svariate cucine provate in questo viaggio mi colpisce la libanese in particolare il fattoush, un contorno tipico a base di chicchi di melograno e verdura cruda serviti con quadretti di pane.

L’oasi terrazzata di Misfat è stata annoverata tra i cento borghi da visitare almeno una volta nella vita all’interno di un contest lanciato dal ministero del turismo spagnolo. E quando mi accomodo sul belvedere che regala una vista mozzafiato sul palmeto con le case incastonate a ridosso, capisco subito perchè. Il tempo di lasciare lo zaino in camera e mi butto nella lussureggiante vegetazione dell’oasi subito dopo una pioggia battente che mi regala l’illusione di un po’ di frescura. La cena a buffet in terrazza con vista sulle case di argilla è una coccola per l’anima. La mattina dopo assaporo l’alba e un gradevole karak al cardamomo, uno dei migliori del viaggio.

Take away e mura di cinta: la vita nascosta degli omaniti

In Oman non si vive all’aperto. Puoi fare chilometri e chilometri senza incontrare nessuno se non qualche dromedario che attraversa la strada. Gli omaniti arrivano in auto davanti ai coffee shop, suonano il clacson e i dipendenti – indiani o pakistani muniti di guanti e cuffietta – escono dalla cucina e si avvicinano al finestrino che viene aperto solo per ordinare il cibo. Dopo qualche minuto il pasto viene portato al cliente che lo consuma in auto con tutta la famiglia. Nelle auto solitamente non mancano mai il thermos con il tè o il caffè omanita e un cestino di datteri. Intorno alla famiglia ruota la vita degli omaniti, mi spiega Mohammed. Il suo tempo libero lo trascorre in famiglia, partecipando alle feste dove si balla. Ancora è viva la tradizione dei matrimoni combinati ed è vietata la convivenza fuori dal matrimonio.

Ogni famiglia ha in media quattro figli nonostante qui le donne – diversamente da altri paesi del medioriente – lavorino e siano molto più libere. La società omanita riconosce la donna come figura centrale della famiglia, colei che cresce i figli e si occupa della casa pur ammettendo una certa emancipazione.

Sono quasi tutte donne le insegnanti di guida che si muovono su auto tigrate per distinguerle dalle altre. Le ho viste entrare dopo il calar del sole nei negozi riservati solo a loro acquistare biancheria intima e prodotti di bellezza. Le ho viste armeggiare con mutande di pizzo in stile ciclistino imbottite per risultare più piene sotto il sacco nero. Qui la maggior parte delle donne indossa l‘abaya. Ho cercato di incrociare il loro sguardo sotto al velo che gli copre il volto lasciando scoperti soltanto gli occhi. A Nizwa, a Kaluf, nel deserto e in tre regioni dell’Oman la mettono a protezione dei lineamenti dalla sabbia. Le ho viste coprirsi addirittura gli occhi in presenza di uomini occidentali o davanti a un obiettivo indiscreto. Oriana Fallaci ha dedicato a queste donne invisibili un intero libro intitolato Il sesso inutile. E non è cambiato molto da allora a oggi.

Un karak a casa di Rashid

Rashid ha voluto mostrarci una vera casa omanita portandoci a casa della madre la quale – seduta sul divano – ha voluto salutarci con una stretta di mano ma con il volto completamente coperto da un velo nero. La casa è abitata dagli altri fratelli di Rashid con i rispettivi figli. Una combriccola di bambini vivaci che indossano dishdash perfettamente puliti e stirati. Ci aspettavano come si aspettano gli ospiti importanti. Sono stati istruiti con i valori dell’ospitalità e dell’accoglienza e si mostrano con fierezza per farsi fotografare. Incuriositi toccano i pulsanti della fotocamera, vogliono poi rivedersi sullo schermo. Ci salutano calorosamente quando andiamo via invitandoci a fare un ultimo scatto.

Le “Sugar Dunes”: è come camminare sulla luna

Oman-Sugar Dunes

Scopro, ma lo sapevo già, di avere una vera e propria passione per il pane yemenita che poi non è altro che una delle più svariate declinazioni del pane arabo. Mi consola il pensiero che essendo sottile, probabilmente non viene preparato con il lievito ma soltanto con acqua e farina. Questa convinzione mi porta a mangiare in quantità, dalla colazione, accompagnato alle uova strapazzate, al pranzo insieme alle verdure rese piccanti da una quantità spropositata di spezie tra cui cardamomo, curry e curcuma. Ho imparato che il riso si pronuncia esc in arabo e il pane omanita ricorda nella pronuncia il nome del sultano (khubz).

Oman-Sugar Dunes-donna

Il mare contemplato nel paese inviolato

Gli omaniti non amano il mare. Lo guardano sostando in gazebi di bambù che di tanto in tanto su trovano lungo il percorso. Li abbiamo visti a Sur e Masirah spuntare sul lungomare poco battuto ancora vergine con palme appena piantate. Gli omaniti non amano il lavoro, il sacrificio. Lo Stato li sovvenziona e gli ha tolto le tasse. Chi ha studiato ha scelto di lavorare specializzandosi ma la maggior parte non lavora. Qui vige il sistema dello sponsor. Uno straniero apre un’attività con l’aiuto di un omanita che gli cede un locale o un’attività e questa rappresenta una forma di sostentamento per tutta la sua famiglia.

Bar Al Hikman, il paradiso in terra

Oman-Bar Al Hikman-altalena in spiaggia

Mi chiedo come sia possibile che gli omaniti non usufruiscano di espressioni così straordinarie della natura come la lingua di sabbia di Bar Al Hikman o le Sugar dunes a Kaluf. Quattro palafitte si stagliano in una cornice di grande suggestione che il silenzio dovuto all’assenza di gente rende unica. Uno dei figli di Youssef, che gestisce un agglomerato di palafitte sulla spiaggia bianca, si fa accompagnare a casa dalle ragazze dirette nel deserto perché non vuole sentire parlare di lavoro, pulizie e pasti da preparare.  

Oman-Bar Al Hikman-mare e spiaggia

Ciondola tutto il giorno tra la spiaggia e la casetta, a volte si fa sorprendere da qualche grosso pesce che i pescatori del luogo individuano dall’alto del pick up. Qui la pesca è un arte. Vedi questi uomini, che non raggiungono i trent’anni di età, correre lungo la battigia e afferrare l’amo col bottino. Spesso è un cefalo, qualche volta un granchio o la seppia. Te ne accorgi dall’acqua che sprigiona una macchia di colore nero. In pochi minuti il pesce viene messo sulla brace e servito agli ospiti in tavola, accompagnato dal riso bianco basmati, insalata di lattuga e pomodori e qualche fetta di limone. A tavola non manca mai il çay (il tè) affiancato dal caffè omanita al cardamomo.

Masirah, l’isola deserta

Masirah non è l’isola della villeggiatura degli omaniti. È poco abitata e gli omaniti ci vengono solo in occasione di matrimoni o funerali dei parenti. Se non fosse per il paesaggio lunare dovuto alla conformazione rocciosa e a una propaggine del deserto bianco, non consiglio di venire fino a qua. Il vento regala agli scatti sulla spiaggia un po’ di vivacità a un nulla piacevole agli occhi di chi è abituato al caos cittadino e alla gente maleducata. Puoi fare chilometri a Masirah senza vedere anima viva.

Qualche famiglia la incontriamo sul traghetto dove bambini vispi si scatenano come se quella fosse l’unica uscita della settimana. Una popolazione che vive prevalentemente in casa si concede di tanto in tanto una gita fuori porta. Poco importa se per fare visita ai parenti o per refrigerarsi dal caldo opprimente della terraferma. Infatti a Masirah il vento non concede tregua. Ti sferza la faccia costringendoti a coprirti più del necessario ad agosto e rendendo difficile un pasto all’aperto. Con il pranzo al sacco al Masirah Beach Camp, con il cibo preso dal pakistano dove la mattina abbiamo fatto colazione, si conclude la tre giorni nel sud del paese.

I wadi: i canyon che non ti aspetti

Wadi Shabs

Il fiume ha eroso la montagna formando uno spettacolare canyon immerso in una lussureggiante oasi dove crescono cespugli di oleandro e piantagioni di palme da dattero, rifugio di diverse specie di uccelli. Quando arriviamo a Fins e all’incantevole spiaggia di sabbia finissima che si tuffa nel mare turchese, l’afa lascia il posto allo stupore.

Oman-Wadi Shab

Il tracciato che conduce alle cascate del Wadi Shabs non è per tutti, a tratti impervio, ripido e scivoloso, ma bellissimo se affrontato con la doppia scarpa (da trekking leggera e da scoglio). Polle d’acqua lungo il percorso consentono una pausa rigenerante. Indossati i giubbotti salvagente si galleggia in totale relax per almeno tre vasche prima di raggiungere le pareti dove sgorga l’acqua calda come quella termale. Un passaggio stretto tra le rocce può spaventare ma rasentando la parete si riesca a oltrepassare la fessura. La fatica del trekking è ampiamente ricompensata dallo scenario che ci si trova davanti all’arrivo.

Oman-Wadi Shabs

Anche al Wadi Tiwi l’acqua c’è ed è abbondante al punto che le precipitazioni della notte non ci consentono la discesa in vasca come da programma. Risaliamo il percorso fatto in discesa inerpicandoci sui ripidi gradini per affrontare un nuovo sentiero, più scosceso, che ci porta alle vasche collegate tra loro da cascatelle incorniciate da una natura selvaggia che mozza il fiato.

Quello che non si vede dell’Oman

Mi chiedo dove vengano seppelliti i morti e perchè in tutto il percorso non mi sia imbattuta in un cimitero. Iapo mi spiega che il defunto viene spogliato e messo di taglio in modo che il volto sia orientato verso la Mecca e sulla salma viene posizionata una pietra in corrispondenza della testa e una in corrispondenza dei piedi. Il muro perimetrale cinge le pietre verticali e il funerale dura tre giorni. Il tasso di mortalità si è abbassato perché il sistema sanitario è buono ed è molto migliorato negli ultimi anni.

Al Mouj: l’Oman verso la modernità

Pia e Lusia, due donne italiane incontrate a Ras Al Hadd che vivono a Muscat da dieci anni, mi parlano di Al Mouj che significa letteralmente “l’onda”, una nuova zona di Muscat che sta diventando sempre più modaiola e aperta. Frequentata da europei che vivono e lavorano nella capitale, è oggi la nuova attrazione per chi visita la città. Intorno al Kempinski Hotel si snoda una serie di moderni edifici d’ispirazione europea pur conservando alcuni dettagli di architettura mediorentale come le finestre e le decorazioni in stile arabo.

La passeggiata lungo il porticciolo turistico rivela una città nella città che nulla ha a che vedere con il paese visitato negli ultimi giorni. Fontane, giardini, panchine sotto le pensiline, ristoranti e caffè alla moda lasciano intravedere uno spiraglio di modernità che non ci si aspetta da un paese che sembra non essere interessato all’ostentazione del lusso tipica degli Emirati Arabi e del Qatar. Veniamo attirati dall’atmosfera lounge di Zale, un elegante locale affacciato direttamente sulla spiaggia che propone cocktail e un menù che propone cucina internazionale. Una serata coccolati dalla brezza marina e dal chill out che si diffonde nell’aria è quello che ci vuole per prepararci a Dubai che visiteremo l’indomani. Un passaggio più soft dall’Oman rurale agli Emirati sfavillanti.  

Lascio l’Oman portando nel cuore gli occhi neri vispi e intensi di Hamud e il sorrisetto furbetto di Salem nell’ultimo viaggio in jeep verso Muscat. Il papà gli avrà detto di restare nella metà di sedile non occupata da me e così hanno viaggiato per tre ore incastrati tra il sedile e il pavimento dell’auto nei loro dishdash perfettamente puliti e stirati. Dopo rocamboleschi tentativi di trovare la posizione giusta, si sono addormentati a pancia in giù in ginocchio con la faccia appoggiata sul sedile. Mi piacerebbe tornare tra una decina di anni per vedere che uomini sono diventati e per farmi raccontare i loro sogni. Per ora li ho solo percepiti quando li ho visti saltare felici su batuffoli di sabbia bianca.

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