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Marrakech sa’diana, pop e prêt-à-porter

Lo scrittore e poeta Juan Goytisolo scrisse “se ti lasci sedurre da Marrakech vedrai che dopo, tutti gli altri posti del mondo ti sembreranno noiosi“. Non serve andarci due volte. L’intenso profumo delle spezie che si sprigiona dai sacchi di juta misto all’odore della pelle appena conciata te li porti dentro e ti tornano alla mente tutte le volte che ripensi a Marrakech. La città è un immenso souq, un mercato all’aperto dove l’arte della contrattazione contraddistingue la vita quotidiana.

La Medina

Impossibile orientarsi nell’intricato dedalo di derb a cui accedi dalle decorate bab (porte) dalle forme più svariate. Dalla medersa Ben Youssef alla caotica Jemaa el-Fna, vieni catapultato in una girandola di colori e odori che ti appannano i sensi al punto che dopo un paio di ore hai bisogno di cercare il silenzio sgattaiolando su per le scale di un cafè con rooftop a cercare una vista mozzafiato sulla medina. 

A Marrakech è consigliabile passare almeno due volte nella stessa strada. Perché
lo sguardo è catturato continuamente: dagli oggetti esposti, dagli artigiani al lavoro, dai motorini che sfrecciano costringendoti a rasentare il muro, dalla carne appesa a un gancio in modalità “shopping express”. La prima volta cercherai di osservare il più possibile soffermandoti sulle particolarità di un dettaglio, di una
decorazione. Proverai anche a scattare qualche fotografia rischiando ogni volta di essere urtato dal conducente frettoloso di arrivare. Arrivare poi dove? Sono sempre in movimento gli abitanti di Marrakech, una città che non è mai ferma

Scorrazzano già dalle prime ore del giorno da una parte all’altra della medina portando generi alimentari, prodotti dell’artigianato e persino mattoni e
attrezzi di carpenteria. La seconda alzerai lo sguardo al cielo e farai caso a un murales che sbuca dalla tettoia improvvisata del souq su una parete che si staglia sul cielo blu e termina con una di quelle terrazze che regala un panorama straordinario sulla città vecchia. 

I rooftop cafè

Ne sono nati tanti negli ultimi dieci anni di cafè che si sviluppano in altezza aprendosi all’ultimo piano con un arredo moderno ispirato alla tradizione. L’ambiente, come il menù, rivisita la cucina berbera in chiave trendy adeguandosi a un ospite più esigente. Ho volutamente scelto luoghi insoliti per arrivare al cuore di questa brulicante città. Pur tornando nei punti imprescindibili della classica visita, mi sono lasciata sedurre dal fascino dei venditori, ho cambiato rotta e stravolto i programmi improvvisando. Ho lasciato che lo stato d’animo del momento dettasse pause e incontri. Il risultato è stato un pout pourri di profumi, sguardi, sorrisi e parole di cortesia in un italiano strampalato.

Rahba Kedima, la piazza delle spezie

Abdullah è intento a smistare le spezie nei sacchetti trasparenti alle donne in fila davanti al suo negozio sulla Rahba Kedima, la piazza delle spezie. Quando arriva il mio turno mi invita a entrare nella sua bottega, un locale minuscolo dove a malapena riesci a girarti e alle pareti solo ampolle di vetro contenenti le spezie più usate in cucina e nella cura della persona. Mi spiega che i marocchini usano
una miscela di trenta spezie per insaporire tajine, pollo, cous cous e minestre. Curry bianco, curcuma, cumino, paprika e zenzero fanno bella mostra di sé in piramidi colore pastello che decorano la piazza.

Café des Épices

Bellissimo il colpo d’occhio sul mercanteggiare quotidiano dal Café des Épices che all’ora del tramonto assume una calda tonalità ocra. Il colore mattone misto all’arancio è predominante nell’architettura dell’intera città, dalla medina racchiusa in una cinta muraria lunga sedici chilometri, alla periferia. Tornerò da
Abdullah due giorni dopo quando realizzo che ho incontrato il mercante di spezie più richiesto dalle donne di Marrakech.

Il bazar di Abdullah

Basta guardare la fila che si forma davanti al suo bazar per capire che mi trovo di fronte alle migliori spezie della città. Prendo mezzo chilo di tè misto, gli chiedo quello che bevono gli abitanti della città. Mi sorride e mi spiega di tenerlo poco in infusione perché è molto intenso. Seguo il profumo d’incenso e cannella e mi ritrovo in un gomitolo di viuzze che si versano in altre in un ininterrotto flusso di vociare e mercanteggiare. Ogni souq ha la sua specialità. C’è quello dei tintori che lavorano i filati sbrigliando matasse di filati dalle tinte forti. C’è quello dei fabbri che lavorano il ferro battuto realizzando lampade di raffinata fattura. C’è quello delle saponette che espone oli e creme di Argan della vicina Essaouira. 

Le concerie

Un momento di distrazione mi costa una passeggiata fino a una conceria. Un ambulante insiste per accompagnarmi a vedere come gli artigiani lavano e conciano la pelle arrivata dalla montagna. Mi spiega che ogni famiglia ha cinque vasche a disposizione per la concia e oggi è il giorno in cui i mercanti portano in città il pellame che verrà lavato e trattato. Munita di un ciuffo di menta, che non mi farà svenire per l’odore nauseante della pelle, salgo al secondo piano di un edificio per osservare dall’alto il lavoro dei conciatori. È chiaramente il preludio all’acquisto nella cooperativa a cui l’ambulante mi affida sgattaiolando via, stavolta senza la richiesta di una mancia.

Il Jardin Secret

Ritorno al punto di partenza imbattendomi casualmente nel Jardin Secret, un’oasi di pace riscoperta di recente a due passi dalla medersa. Per restare in tema, pranzo a Le Jardin, praticamente un giardino verticale spalmato su più livelli (32 Souk Jeld Sidi Abdelaziz). Gusto il primo tè alla menta del viaggio, introduco il pranzo con un saporito hummus (comune a tanti paesi del medio oriente) che qui servono con la paprika e assaporo il primo cous cous vegetariano servito con un mix di spezie che stordisce i sensi tanto è inebriante. Lo cercherò per tutto il viaggio e lo trovo da Rashid in cui mi imbatto percorrendo una delle viuzze più affascinanti di Marrakech, alle spalle della medersa Ben Youssef. 

L’Herboriste des Amis

Rashid è un erborista che ha vissuto tanti anni a Genova e parla un italiano fluente. Insieme a Zuzu gestisce L’Herboriste des Amis, un laboratorio di spezie e creme a base di olio di fico e argan. Sugli scaffali ampolle ripiene di erbe e infusi dai mille colori. Mi mostra una potentissima crema per le labbra, incolore al sapore di zafferano, da usare contro l’herpes e come emolliente e un pigmento naturale rosso per colorarle che si sprigiona strofinando il dito su un cono di terracotta. Da lui prenderó l’ultimo giorno tutto il necessario per rendere la mia
cucina salutista meno insapore compreso lo zafferano, spezia pregiata di cui i marocchini vanno fieri. 

Il souq Haddadine

Mi ributto nel caotico viavai della medina per finire nel souq Haddadine richiamata dal suono di ripetuti colpi di martello. I fabbri forgiano il ferro che diventerà un carnet di lampade che uno di loro dipingerà nelle più svariate
tonalità. Non si sottraggono all’obiettivo ma si mostrano fieri della capacità acquisita nella deformazione dei materiali. Lascio il souq giusto in tempo per vedere l’irrinunciabile Palais de Bahia e il sole abbassarsi dietro alla moschea Koutobia

Il Cafè de France

Faccio un tentativo al Café de France affacciato sulla centralissima Jemaa el-Fna per trovare un tavolo in terrazza e godermi lo spettacolo del tramonto. Ci riesco dopo un attesa di soli cinque minuti che termina con un nus nus, l’equivalente del mezzo freddo messinese.

Jardin Majorelle

Non puoi buttarti nella mischia della medina due giorni consecutivi: rischi una nevrosi. Meglio alternare la polvere e il caos dei souk a una gita in periferia, possibilmente nella parte più nuova della città. Inizio la giornata al Jardin Majorelle creato dal pittore Jacques Majorelle e in seguito riportato in vita da Yves Saint Laurent. Allo stilista francese è dedicato un museo che raccoglie le
sue creazioni più iconiche e racconta l’ascesa di una delle personalità più influenti del XIX secolo. 

Guéliz, vintage patchwork

L’estro creativo permea tutta la mattinata che continua nell’effervescente quartiere di Guéliz. Visito prima il MACMA (ci arrivo a piedi con una tranquilla
camminata di mezz’ora), poi finisco alla Maison ARCT del designer Artsi Ifrach, proprio all’uscita del MACMA. L’artista assembla tessuti vintage trovati nei mercati di tutto il mondo. Lo showroom è nuovo: si trova a questo indirizzo: Mohamed El Beqal, 96 Résidence Kelly. Artsi sarà lieto di accogliervi e di mettersi in posa con voi per un selfie.

Le tombe sa’adiane

Conviene abbinare la visita alle tombe sa’adiane a quella del Palazzo de Bahia
data la vicinanza. A me non è stato possibile perché le tombe chiudevano 15 minuti dopo e non avrei fatto in tempo. Lo spostamento al giorno successivo mi ha consentito di arrivarci subito dopo l’alba. In inverno in Marocco il sole si alza alle 8.30.

Il Kasbah Cafè

Dopo una lunga passeggiata a piedi durata circa quaranta minuti arrivo nel quartiere della kasbah poco dopo le 10.30 e mi accomodo sulla terrazza del Kasbah Cafè dove sorseggio un buon tè alla menta osservando le cicogne appollaiate su un angolo di un tetto. Dalla terrazza la vista spazia sull’intero complesso che custodisce le tombe di dinastie di regnanti e servitori della casa reale, distinguibili dalla grandezza delle forme. I decori delle stanze interne al palazzo sono un trionfo di marmi di Carrara e muqarna (stucchi ornamentali a nido d’ape) ad accogliere le tombe dei principi saaditi. Qui è seppellito anche il sultano Al-Mansour, al centro di una sala con volta a cupola rivestita di zellij e motivi dorati.

Riad Yma, show(e tea) room

Non perdetevi d’animo nel cercare un angolo di pace nell’intricato gomitolo di derb della medina, tra souq e funduq. È nascosto il riad Yima. Talmente nascosto che senza connessione dati dovrete affidarvi alla gente del luogo per farvici accompagnare. E non fatevi scoraggiare dal portone chiuso. Insistete. Vi aprirà una taciturna signora che vi offrirà uno dei migliori tè della città. Il riad non è più una residenza alberghiera ma uno stravagante show (e tea) room dell’artista Hassan Hajjaj che ha raccolto qui cimeli della pop art marocchina. Una sorta di santuario warholiano rivisitato. Il risultato è un piacevole mix di cassette di Coca Cola, t-shirt, babouce, lampade, borsette e tappeti artigianali, anche berberi,
riletti in chiave pop. È tutto in vendita. Questo l’indirizzo: 52 derb Arjane Rabha
Iakdima Medina).

L’Mida, la cucina delle contaminazioni

Da un po’ seguo su Instagram L’Mida un locale della medina che è riduttivo chiamare ristorante (78 bis Derb Nkhel Rabha Kedima). Omar e Simo sono due amici che hanno affidato allo chef Narjisse Benkabbou una cucina che rivisita i piatti della tradizione con prodotti a chilometro zero in un elegante casa marocchina su due livelli. Lo stile industriale si fonde con l’artigianato marocchino regalando ai clienti un ambiente caldo e accogliente. Per il pranzo scelgo un tavolino al sole e un miso (in Giappone è la soia fermentata) con le verdure visto che il menù mi permette di spaziare su cucine di altri paesi. Assomiglia a un cous
cous, lo scelgo per variare anche se le spezie lo rendono simile al palato.

Mi allungo fino alle quattro sorseggiando tè alla menta e godendomi la vista sulla frenetica Rabha Kedima, la piazza delle spezie. Il resto del pomeriggio viene trascorso in questo luogo magico con il profumo della cannella che si sprigiona dalle teiere dei dehors. Mi faccio ispirare e salgo sulla terrazza del Café des
Épices
a ordinare un tè alla cannella godendomi il tramonto del
terzo giorno di viaggio.

Il deserto di Agfay in quad

Il quarto giorno stacco. Cambio paesaggio e mi allontano dalla città per esplorare il deserto di Agafay in quod. Il terreno roccioso non invoglia a salire sul dorso
del dromedario. L’erg Chebbi nel 2011 fu la splendida cornice della cammellata che dal tramonto alla notte mi condusse al campo tendato dove avrei trascorso la notte con un gruppo di sconosciuti. Quella magia che solo il Sahara sa regalare non la cerco qui, dove l’aridità del deserto offre un altro scenario fatto di palmeti, piccoli villaggi e rocce. Il tour in quad dura un’ora o poco più e viene
introdotto da un tè (inutile dirlo) alla menta in un delizioso salotto all’aperto.

Nomad, l’ultimo tramonto

Lascio all’ultimo giorno i saluti ai nuovi amici incontrati. Da Abdullah faccio incetta di tè e spezie, da Rashid prendo crema, olio di argan e zafferano. Mi concedo un ultimo sguardo sulla medina dal Nomad (1 Derb Arjane), locale molto frequentato nascosto dentro a un palazzo adiacente alla piazza delle spezie. Abbinando i pasti di pranzo e cena per assistere all’ultima danza del sole sui tetti, ordino una zuppa e un cous cous speziato. 

Con il richiamo del muezzin all’ultima preghiera del giorno lo sguardo si perde fino alla moschea che si staglia sul cielo rosso. Come cenerentola mi tuffo per l’ultima volta nel caotico e assordante andirivieni di Jamaa El Fna per raggiungere la moschea Koutobia quando il sole muore sul minareto e l’adhan conferisce un senso mistico al momento. Adesso posso davvero ritenermi soddisfatta. Salgo
sul primo taxi disponibile e quando penso di essermi defilata finalmente dal trambusto mi ritrovo aggrovigliata in un ingorgo che nemmeno a Roma ho mai visto. Il tassista fa scegliere a me la tariffa. E nemmeno questo ho mai visto a Roma.

Guardo la piscina illuminata circondata da palme del mio riad e penso a quanto questo paese abbia ancora tanto da esprimere. A quanto abbia da dare a chi,
come me, vede nel viaggio un’occasione per crescere e imparare. Come scriveva Tiziano Terzani “la conoscenza richiede impegno, investimento, sforzo”.

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