L’Iran velato delle donne

Non è facile raccontare l’Iran. Non è facile provare a smantellare gli stereotipi che un paese come l’Iran si porta dietro insieme ai pregiudizi. L’immagine che arriva dai media è quella di un paese pericoloso di cui aver paura. In realtà l’Iran, l’antica Persia, è la culla di una delle più raffinate civiltà dell’antichità. L’impero fondato da Ciro il Grande oggi è un paese sorprendentemente accogliente.

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in bus da Isfahan a Teheran

Ho visitato l’Iran alla fine di dicembre 2018 e a distanza di tre mesi, ho raccontato all’Angolo dell’Avventura di Roma la “mia” Persia. Come l’ho amata attraverso i racconti di Foad e Rashkhandeh, come l’ho vissuta lì con Hamed (oggi amico a distanza), Batul, Sahar e Arezoo. E come l’ho vissuta dopo il mio rientro in Italia. Dopo aver conosciuto Kimia Ghorbani, cantante attivista e oggi giornalista, che ha prestato la sua voce al mio video. Da questa esperienza ho capito che il percorso che ci conduce al viaggio è emozionante quanto il viaggio in sè.

L’arrivo e il rapporto con il velo

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Il comandante annuncia che ha iniziato la discesa sull’aeroporto di Shiraz. In quel preciso istante inizia il mio rapporto con il velo, il pezzo di stoffa con cui coprirò il capo per l’intero viaggio in Iran. L’ho scelto nero, per abbinarlo meglio al colore dei miei capelli e all’abbigliamento dalle tonalità scure. Con qualche piccola frivolezza che mi sono concessa. Come il pizzo che adorna il bordo o il tessuto laminato di quella specie di manteau che scende fino a metà coscia a coprire il fondoschiena. Le donne iraniane oggi lo portano sui jeans attillati o sui leggins. Su di me fa l’effetto di un sacco. Abbinato a un piumino centogrammi lungo fin sopra il ginocchio, svilisce le forme e qualsiasi traccia di femminilità nel portamento.

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moschea della rosa, Shiraz

Infilo la mia Nikon D3000 al collo col goffo tentativo di posizionarla sopra al hejab. E mi rendo conto quasi immediatamente di quanto siano impacciati i movimenti con il velo che scende inevitabilmente ogni volta che giro la testa per inquadrare un soggetto. È il leitmotiv del mio soggiorno nell’antica Persia il velo. Quello che gli iraniani che hanno lasciato il paese e vivono in Italia chiamano “la pezza” in senso dispregiativo.

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giovani donne su una terrazza di Yazd

Hamed, la guida che parla un italiano perfetto, mi spiega che la parola hejab indica l’atto di indossare il velo. Viene usata impropriamente per chiamare il foulard colorato o a fiori indossato dalle ragazze laiche, sempre ben abbinato a borse ricercate, calzature e gioielli. “Velo, velo!” è l’espressione che Hamed userà più spesso durante la traversata in pullman da nord a sud dell’Iran. Diventerà il tormentone del viaggio. Perché anche durante il trasferimento da una città all’altra non mi è consentito tenere la testa scoperta. Il pullman non è considerato un luogo privato ma pubblico. La polizia – sempre in agguato ai check point – potrebbe richiamarmi se disubbidisco alle imposizioni della sharìa.

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la moschea del Venerdì a Isfahan

Con l’ascesa al potere degli ayatollah nel 1979, la donna iraniana si è vista via via imporre norme restrittive riguardanti la sfera personale e il proprio ruolo sociale. Pagando le infrazioni con multe, detenzione e persino pene corporali. Il giorno dopo la rivoluzione islamica che portò al potere Khomeini, vennero di colpo banditi i colori dagli abiti e dagli accessori femminili. Ma anche il trucco, le risate e le manifestazioni di affetto o di gioia. La donna non poté più viaggiare sola. Le era vietato intrattenersi con uomini che non fossero parenti né sedersi dove voleva in autobus. Doveva salire dalla porta posteriore e mettersi nelle ultime file, quelle destinate alle donne. Né ballare e cantare. La voce femminile veniva equiparata ai capelli, entrambi capaci di suscitare il desiderio sessuale e andavano quindi tenuti nascosti. Per non parlare dell’adulterio e della prostituzione, reati puniti con la lapidazione.

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una donna sul belvedere di Yazd

Hamed mi dice che, seppur con lentezza, molte cose stanno cambiando nel costume iraniano. Oggi vengono prodotti film e pubblicati libri che qualche decennio fa sarebbero stati messi al bando. I matrimoni nella maggior parte dei casi venivano combinati dalle famiglie e in età molto giovane. Oggi sono liberi e si contraggono in età più avanzata perché i giovani studiano e si laureano come in Europa. La scuola è gratuita fino all’università dove le classi sono miste, ancora separate alle medie.

Hejab, le tipologie

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C’è da distiguere tra chador , maghnaeh e scialle.

  • il primo si riferisce all’abito nero che lascia scoperto soltanto il viso
  • il secondo è una specie di mantellina con cappuccio che avvolge il capo e che, cucita sul davanti, copre il collo scendendo fino ad avvolgere le spalle
  • il terzo è il foulard tipo sciarpa lunga che lascia intravedere i capelli

Inizio a osservare la vita sociale delle donne: come si muovono, che espressione hanno, come parlano tra loro e con gli uomini. Mi chiedo se possano dedicarsi al benessere fisico, alla corsa, al nuoto: possono praticare attività sportiva e non indossare il velo perché le palestre e le piscine regolano l’afflusso dei clienti in orari diversi per uomini e donne. Nelle città, così come nei villaggi, predomina incontrastato il nero dei chador, i lunghi mantelli che ricoprono tutto il corpo dalla testa ai piedi lasciando solo il viso scoperto, indossati soprattutto dalle donne più anziane o provenienti da famiglie musulmane osservanti.

Il suq, il luogo dell’incontro

Le vedo al bazar in contemplazione davanti al bazari che mostra loro i tessuti più vari dal pizzo al damascato, dalla seta alla crêpe, dal cotone alla viscosa. Vedo anche qualche maghnaeh con il bordo ricoperto da paillettes. Il bazar, l’intricato groviglio di viuzze strette affollate, colorate e chiassose che s’intersecano come in un labirinto nel quale è facilissimo perdersi, è il luogo ideale per osservare le donne nella loro quotidianità.

Iran-Isfahan-bazar-donna con velo

Scopro che il termine suq, che solitamente si utilizza nei paesi arabi, in Iran non indica il mercato ma l’incrocio del fitto groviglio di vicoli che compongono il bazar, solitamente ricavato da un antico caravanserraglio con una fontana al centro. Le donne mi osservano con insistenza, sento i loro occhi posati sul mio velo mal sistemato sul capo che lascia intravedere troppo le ciocche indisciplinate dei miei capelli. Sento i loro sguardi sui camicioni larghi che indosso sui leggins quando mi libero dal piumino per essere più libera di abbassarmi per catturare il particolare di un iwan, il dettaglio di un portico di un caravanserraglio, di un’antica casa persiana oppure il tacco di una scarpa nascosta sotto al “sacco”.

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un bazari nel suq di Isfahan

Le scorgo commentare sottovoce la mia ingombrante macchina fotografica dal vistoso obiettivo e quasi mi sento in colpa per aver violato la loro intimità. Ma è solo una sensazione passeggera: l’iniziale e apparente atteggiamento sospettoso e infastidito svanisce quando alzo la mia Nikon invitandole, sorridendo, a lasciarsi fotografare. Quasi tutte cedono alle mie richieste e si mettono in posa sotto lo sguardo divertito delle donne di passaggio nel mercato. Con la voce del muezzin che decreta l’arrivo del tramonto e un gruppetto di donne che si raccoglie in un animato capannello davanti ai sacchi di juta
contenenti le più diverse spezie, il bazar è un richiamo irresistibile. Il chiassoso vociare si mescola all’adhān e l’atmosfera diventa quasi mistica. É tutto talmente surreale che decido di registrare quei suoni e di portarli con me. Le donne parlano fitto fitto e contrattano col bazari i prezzi dei sacchetti di cannella e cardamomo che utilizzeranno per preparare il çay, il tè nero profumato e caldo, servito con i tipici bastoncini di zucchero in cristalli gialli.

Yazd

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alcuni giovani studenti cantano su una terrazza di Yazd

Arrivo a Yazd all’ora del tramonto, giusto in tempo per fotografare il sole che cala dietro alla moschea del Venerdì regalando alle torri del vento, che svettano sulla città, un caldo color ocra. Un gruppo di studenti si è raccolto in un’allegra festa privata sulla terrazza di una casa tradizionale. Non riesco a capire cosa si festeggia ma le ragazze, nonostante il maghnaeh nero, somigliano molto alle studentesse europee sia per il velo, semplicemente poggiato sulla testa che lascia intravedere i capelli finto biondo, sia per l’inusuale confidenza che mostrano nel rapportarsi con i maschi del gruppo. Improvvisano un concerto con strumenti tradizionali e mi invitano a unirmi a balli e canti. Accetto con piacere, un po’ stupita della calorosa accoglienza.

Persepoli

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Nadine e Farzan, incontrati a Persepoli

Quando arrivo al cospetto dei tori guardiani della porta di tutti i popoli, mi accorgo immediatamente della maestosità di Persepoli, città voluta da Dario il Grande nel 518 avanti Cristo per celebrare le feste, soprattutto le cerimonie dell’equinozio di primavera (il Nowruz che si festeggia il 21 marzo). Avanzo lentamente immaginando palazzi, vasche, giardini e scalinate mentre nell’aria riecheggiano inni reali e squilli di trombe. Mi incanto davanti alla facciata orientale impreziosita da pregevoli altorilievi finemente scolpiti nel calcare: una delle migliori espressioni dell’arte achemenide. La leggera fatica della salita alla tomba di Artaserse II viene ampiamente ripagata dall’incontro con un’anziana donna che mi scambia per un’iraniana e comincia a parlarmi in fārsī. Si avvicina sorridendomi e quando capisce che sono straniera prima si azzittisce e, subito dopo, sghignazza imbarazzata. Non potendo comunicare con lei a parole, ricambio il sorriso e per alleviarle il disagio la
saluto con un gesto della mano e vado via.

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É in quel momento che mi imbatto in Nazhin e suo marito Farzan. Sono seduti su un muretto sotto il sole di mezzogiorno che cade a picco sull’altura da cui si gode un’impareggiabile vista sulla città. Seguo la prassi secondo la quale bisogna chiedere all’uomo il permesso di fotografare la moglie e immediatamente lei si alza e si allontana. Chiedo a lui di lasciarsi fotografare assieme a lei. Acconsente e richiama Nazhin a sé, si mettono in posa e si lasciano immortalare sfoderando un grande sorriso.

Isfahan

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la moschea del Venerdì a Isfahan

L’incontro con Arezoo e i suoi due bambini da solo è valso il giro nel quartiere armeno di Isfahan poco dopo l’ora del tramonto. La chiesa è chiusa, così ne approfitto per scambiare qualche parola con lei in inglese. A sorpresa, mi chiede di essere fotografata con me, mi lascia il suo numero di telefono con la richiesta di restare in contatto. In lingua persiana il suo nome vuol dire “desiderio”. Mi piace pensare che i suoi genitori l’abbiano chiamata così perché la loro generazione sentiva di aver perduto qualcosa, avvertiva nostalgia per ciò che gli era stato portato via, il desiderio di riavere quello che gli era stato tolto: la libertà.

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Arezoo e i suoi figli nel quartiere armeno di Isfahan

Houyeh

All’imbrunire arrivo a casa della famiglia Mohammadi nel villaggio Houyeh, che si trova alle porte di Isfahan, per condividere con Said, i suoi genitori e le sorelle la cena dell’ultimo giorno dell’anno. Per un momento mi sfiora il pensiero che probabilmente sarò esentata dal velo per una sera ma mi dovrò ricredere quasi subito quando, dopo essermi tolta le scarpe lasciate nel cortile, entro e vengo accolta
dalla padrona di casa, Batul, che indossa un colorato foulard a fantasia che non lascia intravedere nemmeno un capello.

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la cena in famiglia la sera di Capodanno

Con lei, in piedi c’è il marito Ebrahim, i due figli, la fidanzata del figlio, la cognata e alcune vicine. Inizia la cerimonia del taarof, il rito dell’ospitalità iraniana: le donne di casa mi invitano ad accomodarmi sul tappeto che ricopre il pavimento del salone e mi servono il tè accompagnato dallo zucchero in cristalli allo zafferano e dai sassolini.

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il tè accompagnato dai cristalli di zucchero

Sopraggiungono anche altri vicini: Davide, un ragazzo poco più che trentenne accenna qualche nota pizzicando le corde del tar, una specie di chitarra, mentre le donne portano in tavola piatti a base di riso con lo zafferano, insalata di cavolo e uvetta, pollo, yogurt e il sangak, il gustoso pane persiano. La cena trascorre allegramente e termina con una deliziosa torta di gelatina che Mina, un’amica della famiglia, ha decorato con la bandiera italiana e iraniana e la scritta “Merry Christmas, viva l’Italia”, accompagnata da una coloratissima parata di calici di gelatine ricoperte da caramelle variopinte.

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Batul

Per ringraziare dell’ospitalità, porto in dono a Batul un dolce tipico della mia regione e, per non incappare in un’irrimediabile gaffe, chiedo ad Hamed di intercedere per me: so che non posso rivolgermi direttamente alle donne. Con mio grande stupore, non solo mi è permesso di porgere direttamente alla padrona di casa il regalo, ma vengo letteralmente investita dal suo caldo abbraccio quando glielo consegno: difficile dimenticare l’espressione del suo volto con gli occhi pieni di gioia.

Iran-casa privata-donna con velo

Ho parecchie ore a disposizione prima che il mio volo mi porti lontano da questo paese affascinante e complesso. Il wi fi dell’aeroporto funziona a singhiozzo ma riesco comunque a ricevere un messaggio su Whatsapp da Arezoo che mi chiede se è andato tutto bene e se sono in viaggio per l’Italia. Inganno la lunga attesa, a cui sono costretta per un incomprensibile slittamento della partenza, osservando una ragazza con il naso coperto da un cerotto, il viso perfettamente truccato e un tubino attillato longuette fasciato da un cappottino leggermente avvitato.

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il tramonto a Yazd

All’aeroporto sembra non esserci traccia delle donne in chador nero incontrate durante il viaggio da sud a nord. Ne vedo molte di ragazze che ricorrono alla rinoplastica per assomigliare alle donne occidentali ostentando un maquillage impeccabile per valorizzare lo sguardo. Quando il comandante invita i passeggeri a mettere le cinture di sicurezza, faccio scivolare il mio foulard sulle spalle con un gesto di ostentata liberazione. E penso alle mie donne. Batul, Mina, Arezoo e Nazhin, che non possono camminare per strada mostrando i loro bellissimi capelli, i loro corpi e i loro sorrisi.

Ti è piaciuto il mio racconto dell’Iran? Se vuoi organizzare un viaggio in Iran ti consiglio di contattare Hamed Ghorbani, guida competente che parla un italiano fluente.

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  1. Un altro racconto incredibilmente affascinante, velo velo mi ha fatto sorridere. Come sempre Ida riesce a presentare in maniera semplice ed efficace qualsiasi emozione.
    Unico neo, a me piacevano molto le foto dei panorami con la giornalista di spalle, foto che in questo viaggio sono sparite. Peccato, speriamo nei prossimi

  2. bravissima Ida hai accolto al volo gli aspetti emozionali e quindi piu reali e meno finti della gente e luoghi sei un gran de professionista e sarai la nuova oriana Fallaci.tanti auguri Ida

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